Per molti dei lettori più giovani Giulio Andreotti è probabilmente una figura essenzialmente politica, in grado di attirare una quantità di enorme di opinioni – per lo più negative, a giudicare dalle reazioni sui social network viste ieri in seguito della sua scomparsa. Eppure Giulio Andreotti ha molto inciso sul mondo del cinema e sul sistema industriale italiano ad esso collegato.
Giunto ad un incarico governativo sotto De Gasperi, ottenne ad appena 28 anni nomina quale sottosegretario con delega allo spettacolo, e la carica restò nelle sue mani per quasi un decennio. Andreotti, prima di tanti suoi colleghi di partito o delle alte sfere del papato, aveva già compreso l’importanza dei media e della cultura popolare. Ed era anche un fervido amante del mondo del cinema. Mentre il movimento del “neorealismo” criticava l’uso strumentale da parte delle elite di governo del cinema, in ottica cattolicamente moralizzatrice atta ad incanalare la ricostruzione post-bellica sotto un’egida saldamente democristiana, è indubitabile che fu proprio sotto l’operato di Andreotti che Cinecittà venne riaperta, rinsaldando l’importanza primaria dell’identità nazionale cinematografica proprio mentre il boom del cinema americano invadeva il paese.
Andreotti, con ironia pungente e con una presenza più sotterranea di quello che il suo palmares istituzionale lascerebbe pensare (7 nomine a Primo Ministro e 25 incarichi come ministro in vari dicasteri), ha profondamente segnato la storia politica e sociale italiana, diventando un’icona pop trascendente la sua stessa stazza politica. L’ultima rappresentazione iconografica di Andreotti si è avuta nel 2008, nell’acclamato “Il Divo” di Paolo Sorrentino. Ma Giulio Andreotti in persona, dotato oltre che di ironia anche di autoironia, non disdegnò a presenziare in varie trasmissioni televisive, spot pubblicitari o film.
Celebre la sua apparizione nel film del 1983 di Alberto Sordi “Il Tassinaro“: la sua comparsata sul sedile posteriore della Regata gialla dell’umile borgataro è probabilmente una delle scene più memorabili del film – film nel quale erano presenti anche Federico Fellini e Silvana Pampanini tra i clienti del tassista Sordi. Alberto Sordi e Giulio Andreotti nutrivano vicendevolmente una profonda amicizia, a prescindere anche da quelle che potessero essere le loro eventuali inclinazioni politiche. Chiudiamo con questa scena dal suddetto film ricordando, oltre che la figura istituzionale del discusso statista, un personaggio cardine degli ultimi 60 anni di storia popolare italiana.