Dopo la visione del nuovo, attesissimo dai fan, film di Rob Zombie “Le Streghe di Salem” è impossibile non rimanere colpiti dal lavoro compiuto dal regista. Se il romanzo da cui è tratto il film – romanzo omonimo che segna l’esordio come autore letterario per Zombie, già noto musicista tra l’altro – è una classica descrizione lucida e lineare dell’orrore provato e subito dalla protagonista Heidi, Zombie cambia tutto o quasi nel film, scegliendo un finale alternativo che si apre a molteplici interpretazioni, e inserendo continui riferimenti allegorici, grotteschi, sociali. Per tutta la durata del film permane il dubbio su cosa sia vero, su cosa sia una visione e cosa sia la realtà.
In un affresco zeppo di citazionismi, che denotano l’amore di Zombie per il Cinema e per i suoi “meme”, girato con una voluta scarnezza di effetti speciali e con grande cura per le scenografie e le luci di scena, risalta l’orrore della nudità, della blasfemia, della grottesca e barocca rappresentazione del Maligno. Giochi di ombre e suoni, una colonna sonora fenomenale e ricercatissima, un taglio lento e compassato delle inquadrature: tutti questi fattori alimentano l’ansia nello spettatore e titillano continuamente le sinapsi del pubblico alla ricerca di riferimenti e spiegazioni.
Rob Zombie punta tutto sulla carta dell’autorialità, e secondo noi vince pienamente la posta in gioco: “Le Streghe di Salem” trascende il genere horror, allontanandosi dall’andazzo generale del buttare tutto in sanguinaccio, supera lo stesso testo di riferimento, e dona una visione allucinata ma quantomai attuale della condizione femminile.
La trama è molto essenziale: Heidi (interpretata da una meravigliosa Sheri Moon Zombie, moglie del regista) è una DJ quarantenne della piccola cittadina americana di Salem; ex-tossicodipendente sul filo della ricaduta, dotata di un corpo ancora sensuale, sempre in dubbio sulla propria essenza dilaniata tra bene e male, riceve un vinile per la propria trasmissione radiofonica. La strana traccia audio contenutavi, incisa da una sconosciuta band “I Signori di Salem”, risveglierà in lei e in altre donne della cittadina macabre sensazioni, presagio dell’arrivo di Satana sulla Terra. 300 anni prima nella cittadina si era svolto l’ultimo rogo di streghe sataniche degli Stati Uniti. Artefice del rogo il Reverendo Hawthorne. Su di lui era caduta la maledizione delle streghe, che avevano promesso in punto di morte di rifarsi sulla sua progenie. Oramai è giunto il tempo.
In un film in cui le donne – invasate e baccanti, fragili e sottomesse, profane e profanate – sono le assolute protagoniste, gli uomini vengono relegati a ruoli che in teoria considereremmo positivi, mentre in realtà sono solo sordide macchiette delle insicurezze e delle miserie del loro genere sessuale: tutto il film è metafora di un falò su cui brucia il machismo e il mito della virilità. Ma la pellicola, oltre che sulla verità di quanto visto, lascia al termine il dubbio anche sulla figura femminile. La donna, un mistero sempre irrisolvibile.
Riuscirà il pubblico dei multisala ad apprezzare tutto questo? Questo film rischia di restare incompreso, schiacciato dalle aspettative che la definizione di genere horror suscita negli spettatori. Ma per chi saprà apprezzare il messaggio, secondo noi nascosto all’interno, la visione di “Le Streghe di Salem” è un’esperienza assolutamente da consigliare. Da applausi.
“Le Streghe di Salem” di Rob Zombie
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