Alessandro Gassman approda sulla sedia del regista con “RazzaBastarda“, in uscita il 18 aprile nei cinema italiani. Sia chiaro, come regista cinematografico, date le sue ampie esperienze teatrali. Lo stesso film è basato su un omonimo spettacolo teatrale, portato in tournè dal cast per tre anni col patrocinio di Amnesty International. Si tratta quindi di un impianto solido e collaudato su cui basare il film.
Gassman ha scelto una linea stilistica molto definita presentando il film, girato in digitale, completamente in bianco e nero, con un contrasto talmente spinto da rendere urticanti certi bianchi bruciati e pesantissimi certi neri, neri cupi come la storia. Solo apparentemente “RazzaBastarda” è un film fico di genere. Cercare ad esempio collegamenti con “Sin City” di Frank Miller è assolutamente fuori luogo, a parte qualche richiamo estetico. Dove vi era la mitizzazione stereotipata e fumettosa, qui è la desolante bruttezza della realtà a dominare il quadro.
Roman, interpretato da Gassman, è una figura tragica e romantica, condannata senza scampo: semianalfabeta, da 30 anni in Italia, metà rumeno metà zingaro, spaccia cocaina per tirare avanti. Consuma anche coca, con pochi, pochissimi amici che gli girano attorno. Figure spettrali in un universo di vuoto. Tutto è decadente e senza speranza, come una lenta spirale in discesa verso la dissoluzione. L’unica ancora di salvezza è quel suo unico figlio, Nicu (Giovanni Anzaldo), che Roman si ostina a chiamare Cucciolo. Farlo studiare, fargli fare una vita il più possibile sana, riuscire a “sistemarlo” con una bella pischella. I sogni di Roman si infrangeranno sugli scogli di una periferia romana gretta e disperata, che non da scampo, attirando lui e Nicu verso il tragico epilogo.
Il film prova a giocare sul doppio binario di tragico e grottesco, strappando ghigni amari più che sorrisi nel mare di orrore morale e spirituale. Gassman e il cast riescono nonostante tutto a non far scadere il film in una parodistica macchietta del reale, ma la vera perla sono le due scene di Nadia Rinaldi, davvero degne degli anni d’oro del neorealismo. Eppure, per quanto invece iperrealista e grottesco possa essere “RazzaBastarda”, è un film tremendamente commovente. E’ impossibile non provare empatia per Roman e per la sua disperata lotta contro il destino; un destino purtroppo predeterminato e segnato: immutabile proprio perchè lui stesso, nonostante le buone intenzioni, non riuscirà mai a cambiare.
Gassman ricordava ieri in conferenza stampa come non si debba mai perdere la speranza. Un film disperato e urticante come “RazzaBastarda” serve a questo. A tener vivo il ricordo che c’è un universo schifoso che dobbiamo cercare di salvare, fuori dai nostri quartieri borghesi. Facciamo in modo che la lacrima che scende a fine film non resti solo uno scarico emotivo. Ricordiamoci di dare una chance a chi non ne ha mai avute.
“RazzaBastarda” di Alessandro Gassman
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