#Review – “Vita di Pi”, un’onirica allegoria

La 20th Century Fox per la promozione della pellicola “Vita di Pi” di Ang Lee fin dal primo momento ha puntato sullo slogan “Il nuovo Avatar”, citando Time. Il paragone è indecoroso, e ci aveva anche indispettito dato la nostra notoria disaffezione per “Avatar“. Il polpettone di James Cameron utilizza il 3D come patina per coprire la vuotezza della trama, già vista e letta in mille salse – una per tutte “Pocahontas” della Disney. Però è chiaro che lo scopo fosse quello di attirare in sala quanto più pubblico possibile alla visione di “Vita di Pi”. “Vita di Pi” è basato sull’omonimo libro di Yann Martel, vincitore del Booker Prize nel 2002.

Ebbene al pubblico americano in generale “Vita di Pi” è piaciuto molto. Anche alla critica, essendo il film che ha portato a casa più statuette nell’ultima Notte degli Oscar. Ci siamo accostati alla visione dunque con ottime aspettative. E quasi tutte sono state rispettate. Fino al naufragio, in tutti i sensi.

La trama racconta del giovane e fantasioso Pi, ragazzo indiano nato e cresciuto in uno zoo, che subisce un naufragio mentre con tutta la sua famiglia e gli animali è in navigazione verso gli Stati Uniti. Sarà l’unico superstite di tutto il mercantile. La prima parte del film, forse quella più formale e didascalica, con i suoi colori pastellati e le inquadrature rigorose, è forse la parte migliore, e costruisce bene il personaggio di Pi. Sia che si condivida o meno l’aria di new-age e multiculturalismo emanata da questo onnivoro ragazzino scientista per parte di padre, induista per parte di madre, cattolico e musulmano per opinione e forse anche giudaico per studio, il giovane Pi è convincente e credibile. Ang Lee da il suo meglio quando tratta di intimità e di sentimenti, seppur, ripetiamo, potrebbe essere non gradito ad alcuni il messaggio.

La seconda parte del film, corposa anche nel libro, affronta il naufragio del bastimento e la lotta per la sopravvivenza di Pi, rimasto unico superstite su una scialuppa di salvataggio assieme ad una ferocissima tigre del bengala dal curioso nome Richard Parker – Richard Parker è in realtà il nome di un povero naufrago ne “Le avventure di Gordon Pym” di Edgar Allan Poe. Nei 227 giorni di deriva dalla Fossa delle Marianne alle coste del Messico il giovane Pi e la sua tigre vivranno avventure al limite dell’incredibile. Fino ad un finale, volendo alternativo, che rischia di distruggere tutta la pellicola. O almeno per noi è stato così: minare la sospensione dell’incredulità richiede sempre un contrappeso di proporzioni titaniche da offrire, e nè il libro nè il film lo fanno.

La seconda parte del film è quella in cui spiccano i maestri della Rhythm & Hues, l’azienda che ha vinto l’Oscar con questo film, pur dichiarando bancarotta. Assistiamo alla catastrofe navale più impressionante di tutti i tempi, nonchè a degli effetti visivi durante la deriva dei naufraghi di una bellezza sconvolgente – la tigre, per intenderci, è quasi totalmente in digitale. Le sfide tecniche per realizzare questo film sono state considerevoli, e fino a pochi anni fa sarebbe stato considerato impossibile girare un film su un naufragio in mezzo all’oceano, con una tigre su una scialuppa. Quindi onore pieno ai tecnici per lo spettacolo magnifico che hanno saputo imbastire.

Quel che manca è il resto. Dio non lo abbiamo trovato. O meglio, ci è stato promesso fin dall’incipit della pellicola per parola del protagonista, ma le attese non sono state rispettate: qui c’è solo un consolante – o sconsolante, a seconda dei punti di vista – ecumenico fumetto per adulti sul trauma e sulla sua rimozione, che saprà impressionarvi con sogni lucidi, capaci di superare le sequenze oniriche dei classici Disney come “Dumbo” o “Fantasia“. Quello che abbiamo trovato è un film visivamente poderoso, senza che la tecnologia risulti un mero artifizio come in “Avatar”, ma carente per via del suo stesso svolgimento e delle carenze del finale. Se ci fosse stata promessa una storia di sopravvivenza, avremmo accettato anche meno da Ang Lee. Unico punto in comune con il film di Cameron è che anche questo “Vita di Pi” non necessita di una seconda visione. Ma una visione è doverosa, e se potete fatelo.

“Vita di Pi” di Ang Lee
Il semafoto di VelvetCinema: Luce gialla

Impostazioni privacy