Ci sono film che entrano nella storia popolare di un Paese. Ci sono film che di generazione in generazione vengono riscoperti, diventando cult per ogni spettatore. Ci sono film le cui battute diventano memi da citare a memoria, come fossero un patrimonio culturale acquisito. “Febbre da cavallo“, film di Steno del 1976 con Gigi Proietti ed Enrico Montesano è decisamente tra i più rappresentativi. Un film che continua a rivivere continuamente una nuova giovinezza. Vi racconteremo come è nato, e dei suoi protagonisti, un omaggio da Velvet Cinema Italia all’arte difficile della commedia popolare, più impegnativa di quel che si crede.
Perchè “Febbre da cavallo” non è solo un film trash. Di quelli ce ne sono tanti, anche involontari. Si diventa cult quando un film va oltre le proprie barriere, e dopo la visione diviene una gemma da condividere, quindi un bagaglio culturale per ridere tra amici e sentirsi parte di un’unica identità comune. Eppure “Febbre da cavallo” non sarebbe dovuto nemmeno esistere: l’idea iniziale era quella di ciò che chiameremmo oggi “mockumentary” drammatico sulla triste vita dei dipendenti dal gioco d’azzardo nel mondo delle corse dei cavalli, una vera piaga sociale durante gli anni ’70. Il soggetto originario pare che fosse nelle mani di Nanni Loy, con l’intento di farne un film di denuncia. Poi la pellicola è stata ripensata, ed è stata affidata non si sa bene come mai a Steno, con l’intento di realizzare un veloce film comico di poco peso. Steno col figlio Enrico Vanzina rimaneggiò dunque la sceneggiatura, realizzando una commedia ma evitando totalmente parolacce, donne scollacciate o eccessivi ammiccamenti erotici – aspetti tanto popolari nel cinema comico italiano del tempo che spesso compensava con questi artifizi le carenze strutturali delle pellicole. Il film, dopo un lancio cinematografico nel 1976 non molto entusiasmante, passò presto nei circuiti televisivi commerciali, e durante gli anni ’80 ad ogni trasmissione restava saldamente un successo.
Da dove viene il successo della pellicola? Anzitutto dai testi così visceralmente romaneschi, con battute affilate come rasoi: non si ride quasi mai fragorosamente ma il ritmo è un flusso continuo, cronometrato al secondo. Poi dalle location: Piazza Venezia, Stazione Termini, l’Ippodromo di Tor Di Valle – ormai chiuso il 31 dicembre 2012 a causa della crisi finanziaria del mondo delle corse ippiche, e sul cui suolo è previsto il prossimo stadio della A.S. Roma. Guardi “Febbre da cavallo” e ti senti romano di sette generazioni, entri nel popolino fatto di arraffoni e arrangiati di professione, della gente che c’ha i buffi ma che vive solo nell’ottica della propria ossessione per le scommesse. Ovviamente è una visione macchiettistica e bonaria del fenomeno sociale e di quella che era la Roma dei giocatori di cavalli del tempo, ma che importa? Ancora oggi di modi, più legalizzati, di sfruttare tali dipendenze dal gioco ce ne sono parecchi. Si ride per non piangere, d’altra parte.
Ma soprattutto il merito va agli interpreti. Senza voler dimenticare Catherine Spaak, Mario Carotenuto, Adolfo Cieli, Francesco De Rosa e tutta l’immensa sfilza di caratteristi e facce romanesche che pullulano nella pellicola, qui i mattatori sono due e entrambi in stato di grazia: Gigi Proietti ed Enrico Montesano. Teatro puro, commedia dell’arte, i due mai torneranno probabilmente su questi livelli assieme nel cinema comico. Enrico Montesano registra qui forse la sua miglior performance comica sul grande schermo in assoluto, mentre Gigi Proietti, mattatore di mille palcoscenici anche impegnati, riporta il suo istrionismo rubando la scena a tutti. Eccovi una clip famossissima, quella del carosello per il Vat 69 e di quell’impronunciabile “Whisky Maschio Senza Rischio“, entrata nella leggenda. Una chicca per i più curiosi, il doppiatore del regista irascibile fu proprio Steno in persona.
Febbre da cavallo (Steno, 1976)
Cosa altro aggiungere a questa rievocazione? Forse resta solo un grande senso di nostalgia. Sull’onda di questo sentimento nel 2002 è stato prodotto per la regia di Carlo Vanzina, altro figlio di Steno, un sequel “Febbre da cavallo – La mandrakata“. Ma nonostante le buone intenzioni di replicare il successo del film originario, si tratta di un’operazione amarcord non riuscita nè commercialmente nè artisticamente. A noi piace immaginare che giù al portone ci sia ancora “er Ventresca” ad aspettare i suoi cronici debitori Pomata e Mandrake… Anzi, “Ce semo tutti a Pomà…“
Febbre da cavallo – Processo finale “Vai cor tango!”