Uscendo di sala dopo la visione dell’ultimo 007 Skyfall, diretto da Sam Mendes e interpretato da Daniel Craig, si resta quasi frastornati e si pensa: “ma come diavolo ci sono riusciti?”. Se vi state chiedendo: “a far che?” continuate a leggere queste righe.
Il grande merito dei film di Bond interpretati dal torvo Daniel Craig era una ricerca di contemporaneità, sia dal punto di vista stilistico che tematico. Meno brillantina e più frenesia. Casinò Royale impressionò positivamente, richiamando, oltre che il nuovo modello Jason Bourne, le origini “pulp” del Bond su carta. Quantum of Solace si rivelò essere un film di maniera, che pur cercando una sorta di continuità col precedente, disperdeva le peculiarità del canone di Bond in un film per la maggior parte deludente e generico.
E invece 007 Skyfall si rivela essere fottutamente un film di Bond. Di più, un film di Sua Maestà Britannica. Skyfall trasuda Regno Unito da tutti i pori – persino nelle location esotiche la plumbea nebbia londinese non ci abbandona mai, e la pellicola collima perfettamente con il canone classico di Bond. Ci azzardiamo a dire che oltre ad essere il film di Bond più bello delle recenti uscite, si tratta di uno dei più belli in assoluto di tutti i 50 anni di storia cinematografica dell’agente segreto con licenza di uccidere. Continuiamo dopo la bella colonna sonora di Adele.
La colonna sonora di Adele
ADELE – Skyfall
Eppure, pur essendo la sublimazione e l’apice di Bond come personaggio idealizzato, non è Bond come potremmo immaginarcelo. Sam Mendes lo aveva dichiarato: Christopher Nolan, i suoi Batman e la sua cinematografia hanno fatto già storia, insegnando all’industria come fare cinema commerciale di qualità nel post 9/11. Ad un occhio neanche troppo attento non sfuggirà la somiglianza tra James Bond e Bruce Wayne sia nella messa in scena che nella trama rivelata al pubblico, nè i richiami cupi e densi della meravigliosa fotografia impressa da Roger Deakins non solo alla saga del Cavaliere Oscuro, ma anche ad Inception. I rumors vorrebbero Nolan prossimo a dirigere e curare Bond direttamente, ma visti i risultati ottenuti da Mendes ci permettiamo di dire candidamente e inaspettatamente “ma anche no, grazie!”
Mendes dona a Bond quella rigida morbidezza nelle inquadrature e quella tradizionalità britannica che Nolan, probabilmente, non saprebbe dare. Mendes riesce a tradurre i clichè classici di Bond e quelli moderni di Nolan in un nuovo mix, superiore ad entrambi, e non mera imitazione. Altro merito poi è il sapiente svolgersi della trama, che vede Bond a prima vista già provato e non più all’altezza, quando in verità il finale lo ricollegherà poi ad un nuovo inizio, perfettamente aderente al Bond dell’era Connery, chiudendo in maniera impeccabile questo – primo? – ciclo di Craig come un unico enorme prequel per la ripartenza della serie. Quello che Nolan ha potuto studiare e costruire in tre film, Mendes è riuscito a realizzarlo in uno solo. E questa è bravura vera.
Non possiamo poi non parlare degli interpreti. Il più oscuro e drammatico dei Bond non sarebbe giunto in porto se non ci fossero state le performance del cast sapientemente adunato. Daniel Craig ormai è James Bond, e a meno di clamorosi scivoloni, potrebbe rubare lo scettro del miglior Bond di sempre a Sir Sean Connery. Judi Drench è una meravigliosa M, assolutamente impeccabile nel suo ruolo e in grado di trasmettere ogni minimo dubbio sotto la maschera della cieca determinazione. Javier Bardem nel suolo di Silva tocca vette che aveva sfiorato solo in Non è un paese per vecchi. Il resto del cast è di livello impareggiabile e anche i ruoli minori fanno della recitazione prima che dell’impatto visivo l’arma per sedurre il pubblico. Menzioni d’onore per Ralph Fiennes che fa evolvere il suo personaggio perfettamente da un estremo all’altro, e per un Albert Finley quasi irriconoscibile sotto la barba canuta, che mostra ben più di quel che il minutaggio gli concede.
E quindi, quando partono i titoli di coda, resti lì quasi a bocca aperta, domandandoti: “come diavolo hanno fatto?” Un film perfetto: c’è tutto di Bond, c’è il dogma e l’innovazione, c’è il gusto dark post-moderno, c’è una tecnica e una dialettica odierna, e c’è un rilancio per la saga a venire. Complimenti vivissimi alla famiglia Broccoli, demiurga della produzione dei film di Bond. Complimenti. Avete quadrato il cerchio. E gli incassi del primo weekend lo confermano.
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