Will Smith nel film Zone d’Ombra svela il mondo oscuro del football

Esce oggi nelle sale cinematografiche italiane il film Zone D’ombra con Will Smith. L’attore ha raccontato della sua vita e delle discriminazioni che ha dovuto subire.

Prima il colore della pelle, poi il marchio di straniero e l’etichetta da rapper arrabbiato. Will Smith confessa che per gran parte della sua vita è stato discriminato. Poi grazie al successo è arrivato il riscatto, ma non c’è stato solamente questo. Un altro elemento fondamentale della vita dell’attore è stato l’incontro la fede, raggiunta grazie alla nonna, un ricongiungimento con Dio che ha dato a Will Smith serenità e voglia di affrontare nuove sfide.

In Zona d’ombra (Concussion), da oggi al cinema, Will Smith sfida la potente National Football League americana interpretando – con accento nigeriano – il medico neuropatologo Bennet Omalu che ha scoperto per primo il legame tra i traumi cranici e la comparsa dell’encefalopatia cronica, una malattia degenerativa cerebrale di cui soffrono parecchi atleti della NFL. Il film di Peter Landesman nasce proprio da un articolo d’accusa pubblicato su GQ dalla giornalista Jeanne Marie Laskas e divenuto un romanzo bestseller. “Questo film non intende aggredire la più importante lega professionistica nordamericana di football americano” afferma Landesman, ex inviato di guerra e giornalista investigativo del New York Time Magazine. “Non mi sono mai consultato con la NFL né ho domandato permessi prima di girare. La priorità è raccontare questa storia, mettere in salvo il maggior numero di giocatori di football (secondo il vero dr. Omalu, il 90% dei giocatori del campionato soffrirebbe di encefalopatia cronica e non lo sa ancora, ndr) e dar loro tutte le informazioni sulla CTE, la Chronic traumatic encephalopathy”. Una malattia degenerativa che non riguarda soltanto il football americano ma comprende anche il calcio, spiega Smith: “So che in Italia il calcio è qualcosa di sacro, conosco bene il fervore sportivo. I medici ora hanno trovato una relazione tra i continui urti alla testa degli sportivi sul campo e la comparsa dell’encefalopatia; concerne tutti, persino i calciatori. In Australia, stanno già prendendo misure all’interno della regolamentazione ufficiale”.

Photo credits: Twitter

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