Marco Ponti, Io che amo solo te: “La partita non è mai finita”

Ha detto Steven Spielberg che la qualità principale di un regista consiste nell’avere scarpe comode. Dopo averci riflettuto un po’ su, Marco Ponti ha deciso di seguire l’implicito consiglio. Nel passaggio dalla teoria alla pratica ha dovuto porsi il fatidico dilemma: quali scarpe scegliere? Gli è venuto in mente Steve Jobs, che indossava sempre lo stesso paio. Ponti ha cercato su google e il responso è conciso con un particolare modello di New Balance, oggi quasi introvabile. I siti di e-commerce non sono giunti in suo soccorso, tuttavia non s’è arreso. La costanza è stata premiata: ha individuato un negozio romano in possesso dell’agognato prodotto, si è presentato personalmente e ha effettuato l’acquisto. A quel punto era pronto a cominciare le riprese di Io che amo solo te. Possiamo considerarlo l’ultimo tassello mancante. E oggi si congratula con se stesso per la decisione presa, poiché i suoi piedi hanno ringraziato (“mai avuto male“) e la fatica è sempre stata sopportabile.

Io che amo solo te, ci siamo quasi. Il 22 ottobre per un totale di 450 copie arriva al cinema questa pellicola – prodotta da Fulvio e Federica Lucisano in collaborazione con Rai Cinema – che Ponti definisce un doppio specchio: “da un lato è un’autobiografia emozionale, perché non ho vissuto gli stessi eventi, ma le stesse emozioni sì. Dall’altra parte dello specchio, invece, c’è la storia di Luca, la storia che ha inventato lui“. Luca Bianchini, autore dell’omonimo bestseller da cui il film è tratto. Si conoscono da 25 anni, loro due. E quest’ultima avventura l’hanno vissuta in un unico fiato: “E’ stato un viaggio vero e proprio – spiega Ponti – cominciato da quella pizzeria in cui Luca per la prima volta mi ha rivelato la trama, prima ancora di cominciare a scrivere“. Non se lo sono detti subito, anzi non se lo sono detti mai, però il desiderio di portare quella storia sul grande schermo, in fondo, c’era già. Nascosta in qualche tasca dell’animo. Insieme hanno dato vita alla sceneggiatura, insieme hanno pensato al cast, “non c’è decisione che non sia stata presa di comune accordo“. Io che amo solo te, percorso di due cuori – quelli di Ninella e Don Mimì – che trovano il coraggio di fondersi dopo tanto tempo ma non-è-mai-troppo-tardi. Parabola di altri due cuori – quelli di Damiano e Chiara – che forse non conoscono ancora le potenzialità di ogni singolo battito. Un luogo, Polignano a mare, magico al di là di ogni retorica. Con le luci speciali, così speciali che anche il rosso di un vestito dev’essere scelto con cura. Io che amo solo te, un matrimonio che s’ha da fare nonostante qualche dubbio (più o meno) legittimo. Durante gli ultimi preparativi accade di tutto. E poi la famiglia riunita, l’odore di casa, un piccolo mondo immobile e bello per questo, qualche scheletro di tirar fuori dall’armadio e tirare pure a lucido, debolezze e forze dell’animo umano, un cast di qualità: Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Michele Placido, Maria Pia Calzone, Luciana Littizzetto, Eva Riccobono, Eugenio Franceschini, Antonella Attili, Michele Venitucci, Dario Bandiera, Enzo Salvi, Dino Abbrescia, Antonio Gerardi, Ivana Lotito e Angela Semerano. C’è pure Alessandra Amoroso per un “cameo canoro”. Aspettative? Tante. Ma Ponti, per fortuna, non riesce ad averne piena consapevolezza. E poi è innamorato, anche se forse non se ne rende conto…

Scamarcio è stato reclutato per primo.
Sì, primo attore a salire a bordo di questa nave. Con lui c’è stata una relazione molto importante a livello creativo. Gli abbiamo fatto leggere una delle prime versioni della sceneggiatura, ci siamo parlati tantissimo. Consultati di continuo per cogliere al meglio lo spirito della storia. Il suo apporto è stato prezioso, anche perché essendo nato in quei luoghi li conosce bene. E poi Riccardo è una persona che ti obbliga ad aumentare il livello del tuo impegno perché è sempre molto esigente. Non te lo intorti. Ti obbliga a dare il meglio di te. Non è una lotta fra ego, quello del regista e quello del protagonista; è una ricerca dell’idea più efficace.

Avevate lavorato insieme nel 2005 per L’uomo perfetto di Luca Lucini: lui interprete, tu co-sceneggiatore.
Sì. E da allora abbiamo cominciato a favoleggiare di progetti comuni. Ci siamo visti svariate volte, è nata un’amicizia. Abbiamo anche giocato insieme a ping pong (sorride, ndr)!

Riccardo Scamarcio nel film è Damiano, promesso sposo di Chiara. Quest’ultima ha il volto di Laura Chiatti: come è avvenuta questa scelta?
E’ stata naturale, prima di tutto perché Riccardo e Laura hanno recitato insieme più volte e fra loro c’è un grande feeling professionale. E questo mi ha fatto gioco, perché fra i due personaggi principali non c’è tanto una tensione sentimentale ed erotica, bensì “familiarità”. Complicità, amicizia. E poi Laura ha 3 qualità importanti: è brava, è bella, è una persona con cui si sta bene. Una donna serena.

E’ anche una madre, ormai.
E questo rappresenta un valore aggiunto. Ce n’erano due, di mamme, sul set: Laura ed Eva Riccobono.

Dopo la performance in Passione sinistra, che le è valsa il Ciak d’oro e la candidatura ai Nastri d’argento come Migliore attrice non protagonista, Eva non poteva non esserci.
Non poteva. Lei, Luciana Littizzetto e Antonella Attili sono il trio comico, diciamo. Mi piacciono le donne che sanno far ridere.

Nei panni di Don Mimì, personaggio chiave, c’è Michele Placido.
Il personaggio di Don Mimì è il più complesso, quello con maggiori sfaccettature. E’ stato necessario lasciare che l’idea sedimentasse per un po’. Don Mimì è coraggioso ma al contempo pavido. Vive situazioni di conflitto coi due figli, fatica ad accettare l’omosessualità del minore (Franceschini, ndr), è sposato da vent’anni con una donna che non ama e non è mai riuscito a dimenticare la donna che ama cioè Ninella, interpretata da Maria Pia Calzone. E’ pieno di contraddizioni. E la vita lo porta a superare la mancanza di coraggio, la paura di essere felice. Perché se hai paura, non puoi essere davvero felice. Serviva un attore maturo ma capace di avere lo sguardo di un ragazzo di vent’anni. L’essenza di Don Mimì è questa: è rimasto fermo a quella felicità vissuta per poco e da giovanissimo. Ha cristallizzato quel momento. Dopo una lunga analisi, ho mandato a Michele la sceneggiatura. Il giorno dopo mi ha detto sì: quasi non ci credevo, ne sono stato davvero felice. E’ meraviglioso vedere Michele Placido nel ruolo di un eroe romantico di 60 anni.

Non è mai troppo tardi: questo il messaggio principale?
Già. La partita non è mai finita. E questo, del resto, è il tema portante di tutti i miei film.

Quanto è stato faticoso, questo film?
Tanto. Per l’elevato numero di persone, innanzi tutto. Gli attori, una ventina. Le 150 comparse, i camerieri, gli addetti alla cucina. Gran parte della storia di svolge nella masseria in cui è organizzata la festa per il matrimonio. Ogni giorno dovevano essere tutti perfetti, vestiti e truccati – appunto – da ricevimento nuziale. Poi ho chiesto agli attori (una ventina in tutto, ndr) un grande favore: essere sempre presenti, anche quando non avevano una scena specifica da girare. Per averli anche sullo sfondo, per un risultato ancora più realistico.

La scena del ballo è il momento clou.
E per me è stato anche il momento più bello delle riprese. C’erano tutti, proprio tutti. C’era Alessandra Amoroso che cantava Io che amo solo te. C’era Luca. E quando alcuni “insospettabili” della troupe tecnica si sono messi a piangere, oppure sono usciti per non farsi vedere con gli occhi lucidi, ho provato una sensazione incredibile. E pensato: “io questa giornata non lo finirei mai“. E poi per me è stato un grande onore far ballare Michele Placido, un’emozione vedere Maria Pia con addosso la collana di perle che gli aveva regalato Don Mimì quand’erano giovani… Bello, sì.

Il momento più difficile, invece?
Il taglio della torta. Ho avuto la “splendida” idea di girarlo in esterna, al tramonto. Fai conto: le comparse, comparse, gli attori, i 100 componenti della troupe… Il tutto con soli 30 minuti di luce a disposizione. Dovevamo farcela per forza, non c’erano altre possibilità. Avevo l’adrenalina a mille, è stato come tirare un calcio di rigore, mi sono detto “non posso sbagliare“. E il direttore della fotografia, Roberto Forza, è stato come sempre straordinario.

C’è qualche citazione?
Non vere e proprie citazioni, piuttosto pensieri che riconducono ad altri film. Ah, però gli occhiali di Riccardo sono dello stesso modello che portava Marcello Mastroianni in Divorzio all’italiana. Ci sono pensieri a Marcello e Sophia Loren, sì. Pensieri a quei film sull’Italia degli anni ’50 e ’60, a quel modo di raccontare l’italianità che non è accondiscendente ma resta affettuoso.

Il vestito rosso di Ninella è frutto di una lunga ricerca.
Sì. E la scelta del rosso è stata fatta tenendo conto prima di tutto della luce naturale di Polignano, che ha un ruolo molto importante. Abbiamo provato diverse tonalità prima di individuare quella giusta.

Alessandra Amoroso interpreta un’amica degli sposi…
… Che se ne sta seduta tranquillamente al suo tavolo e all’improvviso viene chiamata per cantare. Ricordo quando abbiamo chiamato, io e Luca, Alessandra. Tempo di farle la proposta, s’è messa a cantare al telefono Io che amo solo te: era un sì!

Cosa hai pensato quando hai visto per la prima volta il film completo?
Che il cinema è una cosa enorme. Se vai sotto lo schermo, sei piccolissimo.

Non ti fanno venire l’ansia tutte le aspettative che accompagnano questo titolo?
Ma vedi, io davvero non riesco ad averne piena coscienza. E questo però non significa che sono tranquillo. Però penso che se un’emozione è raccontata con sincerità e onestà, allora qualcosa si ottiene. Se ci piango io per primo, è più facile che il pubblico pianga. Se rido io per primo, è più facile che la gente rida. Io ho dato il massimo, anzi di più, e lo stesso vale per tutti coloro che hanno lavorato con me. Nonostante i ritmi allucinanti. Adesso la freccia è scoccata, vediamo dove arriva…

Le persone che hanno lavorato con te: a parte la Riccobono, lo scenografo Francesco Frigeri e il musicista Gigi Meroni, con tutte le altre è stata la prima volta.
Sì: con tutti gli altri non avevo mai lavorato direttamente, prima. E tutti sono stati una grande scoperta. Compagni di viaggio che non vorrei mai abbandonare. E per citare Federico Fellini, ci siamo conosciuti “su” Io che amo solo te. Perché è come una nave. Si sale a bordo.

Di questo film parli da uomo innamorato.
A questo film vuoi bene. Ed è anche questo il motivo per cui, anche se l’ho visto ormai tante volte, non mi è ancora uscito dalle orecchie (sorride, ndr).

PS: Nel film si vede qualcuno che beve il caffè e poi fa una smorfia perché il sapore è cattivo. Ponti ha citato se stesso: lui beve caffè, anche abbastanza. Però non gli piace.

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