L’Innesto di Luigi Pirandello fu rappresentato sulle scene teatrali italiane nel 1919 generando subito scandalo. Perché all’epoca il pubblico non era pronto a vedersi quella realtà così cruda e amara sbattuta in faccia senza filtri ma con l’essenzialità tipica del grande maestro siciliano. Non era pronto a sentir parlare di stupro, a considerare l’idea di un figlio della violenza, di una donna che decide di metterlo al mondo nonostante tutto, del marito che a sua volta si ritrova in qualche modo offeso nella propria virilità. Lo stupratore non solo prende la sua donna con la forza per quanto la mette incinta. Riesce a fare, in una manciata di minuti sporchi e maledetti, ciò che lui avrebbe voluto con tutto il cuore. Come si fa ad accettare quella creaturina, quel sogno realizzato da un bastardo, come si fa a conservare l’amore e dimenticare? Accantonare nel più recondito angolo dell’anima, lasciando invece posto alla solidità del legame e alla rivoluzione imminente? Come si fa a considerarla salvifica, quella rivoluzione? Michele Placido, rileggendo l’opera pirandelliana, l’ha trovata ancora più significativa se collocata nell’epoca attuale. E così è nato il suo nuovo film, La scelta. Placido è il regista e uno degli interpreti, sia pur in un ruolo minore. I protagonisti, la donna violata e ingravidata ma anche assetata di futuro e riscatto, e il suo compagno disperato e quasi attonito dinanzi a tale orrore – un orrore che vuole divenire meraviglia – sono Ambra Angiolini e Raoul Bova.
La scelta è nelle sale da oggi, 2 aprile, per un totale di 230 copie. Prodotto da Federica Vincenti per Charlot e Goldenart Production in associazione con Avvenia, Ifitalia Gruppo Bnp Paribas, Rb Production (società di Bova) e in collaborazione con Rai Cinema. E veniamo alla domanda fondamentale: com’è questo film? Difficile, proprio come le sue stesse basi e premesse. Necessario, perché il tempo passa – passano i secoli – e ancora la piaga rimane. Anzi, la violenza nei confronti delle donne è divenuta se possibile ancora più feroce. La regia di Placido è imponente e richiede concentrazione. Pochi i dialoghi, molti i silenzi. Tanta la musica che mira a sostituire le parole. A tessere una tela da interpretare, giudicare, completare con gli occhi dello spettatore.
E’ un film diverso, senza dubbio. Non per tutti. I “forse” non mancano, oggi. Forse Giorgio avrebbe dovuto avere un volto meno perfetto rispetto a quello di Bova, forse la Angiolini – pur possedendo un talento innegabile – non era ancora pronta per contenere e sprigionare energie così potenti e dissonanti fra loro. Perché il suo personaggio cambia in modo netto fra il “prima” e il “dopo”. E’ sofferente, Ambra. Forse non abbastanza. Forse il pubblico avrebbe dovuto ricevere una guida più costante. Forse. La scelta, evidentemente, non coincide solo col titolo e con la vicenda narrata ma anche con una precisa presa di posizione dietro la macchina da presa. C’è un’enorme consapevolezza in Placido. E’ stato proprio lui il primo a parlare di “sfida”, assumendo tutte le conseguenze del caso. Questa è una storia di amore, non di violenza. Amore materno, paterno, prima di tutto amore fra due persone. Che viene messo a durissima prova e ce la fa. Ce la fa. L’ultima scelta adesso spetta alla gente. Si può prendere la strada della critica facile, addirittura del rifiuto. O quella della riflessione, dell’immedesimazione. Del più intimo interrogativo.
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