Silvio Muccino: “Ho scelto di costruire un mondo spettacolare”

Ha assecondato i suoi tempi e le sue esigenze, Silvio Muccino. Infischiandosene di quanto potesse essere rischioso star lontano dal set per 4 anni e anche di più. Rimanere nel giro, farsi vedere, dar segni di vita altrimenti il-pubblico-si-dimentica-di-te? Evidentemente non fa per lui, o perlomeno la cosa non l’ha preoccupato affatto. Si stava preparando, Silvio. E alla fine è tornato. Cresciuto, talmente energico che pare sul punto di esplodere, con gli occhi azzurrissimi che strizza quando sorride. E sorride spesso. Nonostante tutto. E’ una sorta di mina vagante dotata di autodisciplina, la sensazione è che in tutto questo tempo abbia lavorato non solo al nuovo film ma anche – soprattutto, forse – su se stesso. E comunque vada, sarà un successo. Sì, perché lui è soddisfatto di ciò che ha fatto. Le leggi del desiderio, che dirige, ha scritto con Carla Vangelista e interpreta insieme a Nicole Grimaudo, Maurizio Mattioli, Carla Signoris e Luca Ward, è entrato nel suo secondo weekend di programmazione. Muccino interpreta il life coach Giovanni Canton, determinato a cambiare in meglio la vita di 3 persone (Grimaudo, Mattioli, Signoris) e anche a dare una lezione, sia pur indirettamente, al mediocre Paolo Rubens (Ward). Solo che la vita non è facile ammaestrarla. E, alla fine, il primo destinatario di una “lezione” sarà proprio lui. O di un’imprevista illuminazione, dipende dai punti di vista.

Le leggi del desiderio, in fondo, è una commedia romantica. Che si sviluppa, però, attraverso strade generalmente non battute dal cinema italiano. Il progetto è apparso ambizioso e temerario fin dall’inizio, eppure tutti coloro che ne fanno parte ci hanno creduto senza tentennamenti di sorta. Adesso, e come sempre, spetta al pubblico l’ultima parola. E Muccino, che sta smaltendo una febbre da cavallo, non vuole mettersi maschere. Non vuole darsi un tono. Dice quello che pensa, poi vada come deve andare. Se si torna, tanto vale farlo fino in fondo.

Secondo weekend di programmazione: come ti senti?
Dinanzi a una domanda simile si possono dare risposte retoriche oppure sincere. Io voglio essere sincero: sto fremendo. Com’è giusto e normale. Stanno fremendo i produttori del film, gli attori. Stiamo fremendo tutti, ma tutti siamo molto orgogliosi. Questo film ci convince. Spero nel potere del passaparola e mi auguro che sia “lungo”.

Quanto influiscono i risultati al botteghino sul tuo stato d’animo? Possono affievolire la soddisfazione di partenza o, al contrario, farla lievitare?
Dipende anche da te, da che tipo di considerazione nutri nei confronti di te stesso, da come misuri il tuo lavoro. Il cinema è una scommessa, sempre. Tanti fattori influiscono nel risultato finale, anche le condizioni meteorologiche. Poi ci sono progetti che vengono concepiti ad hoc per il botteghino e progetti basati anche su altro. Per quanto mi riguarda, prima di tutto cerco di fare un film di cui possa andare fiero. La critica l’ha accolto bene, molti l’hanno definito il mio film migliore, ho sentito affetto e calore ed è un’enorme soddisfazione. Soprattutto considerando che ho 33 anni e ancora tante cose da fare.

Il cinema è anche un’industria.
Assolutamente. E di conseguenza il box office ha un peso e incide sul futuro, prima di tutto dei registi. Ma ripeto: io ho avuto la fortuna di trovare dei produttori e dei distributori che non hanno mai smesso di credere in questo film.

Il protagonista è un life coach, figura che in America è diffusa da molti anni ma in Italia deve ancora farsi conoscere pienamente. Nel proporla al pubblico italiano, che in fondo è tradizionalista, ha dunque osato. Ne eri consapevole già all’inizio?
Sapevo di osare sotto diversi punti di vista. Prima di tutto proponendo una figura fuori dal comune, che esula dai canoni della commedia romantica italiana. Perché, almeno secondo me, la commedia romantica italiana punta sempre sul ragazzo della porta accanto; ci sono variazioni sul tema, ma è comunque lui. Ecco, allora io credo sia un dovere dei giovani aprire altre porte. Sperimentare un tipo di commedia che sia altro. Io ho provato a raccontare un mondo spettacolare e a osare anche per quanto riguarda la regia in senso più tecnico. Ci sono due scene in particolare, quella in cui Canton parla nel teatro e quella girata nell’hotel con la Signoris, Ward e la Grimaudo, che si allontanano volutamente dallo stile italiano per ricalcare quello americano. Potevano essere una buccia di banana, queste scene, e invece sono fra le più riuscite…

In una recente intervista, Luca Ward ti ha definito una “regista di vecchio stampo” nonostante la tua giovane età. Ha detto di essersi sentito protetto da te. Ma d’altra parte appartieni a quel ristretto gruppo di artisti che si scrivono il film, lo dirigono e lo interpretano. Cosa che i registi di una volta non facevano. Stai cercando di definire meglio il tuo percorso?
Definirmi è difficile. In prima battuta io amo la regia e tutto ciò di cui essa è fatta. Amo la storia. Il complimento di Luca mi rende molto felice, in effetti io sono convinto che gli attori siano al centro del film e che sia necessario tirar fuori il loro massimo. E’ per questo che tendo a occuparmi sempre meno di me come attore e di dedicarmi sempre più al ruolo di regista.

Dunque non escludi, un domani, di non stare più davanti la macchina da presa ma solo dietro?
No, non lo escludo. E questo film è stato anche un tentativo. Giovanni Canton non è protagonista ma ha principalmente la funzione di deus ex machina. E’ stata un’esperienza bella, inebriante, è qualcosa che ti dà infinite possibilità in più. E’ un’esplorazione ma anche un grande divertimento.

Parliamo del cast: non hai scelto i “soliti” attori.
Anche sotto questo punto di vista ho osato (sorride, ndr). Beh, dopo 4 anni volevo proporre un prodotto autentico, non preconfezionato. E ringrazio sia Marco Belardi che Medusa per aver permesso di scegliere il cast giusto e non il cast “furbo”. Il pubblico è rassicurato dalla presenza di determinati attori e torna in sala per rivederli perché sa in partenza ciò che troveranno. Questo meccanismo può essere proficuo, ma al contempo non permette ad attori interessanti di dimostrare fino in fondo il loro valore.

Consideri il tuo cast una scommessa vinta?
Decisamente! Ward ha fatto conoscere il suo lato comico, e chi mai avrebbe detto che la risata più grossa del film sarebbe stata opera sua? Nicole per la prima volta è protagonista a 360 gradi, la Signori e Mattioli sono famosi e apprezzati, però ne Le leggi del desiderio hanno avuto modo di essere sia divertenti che commuoventi.

Tu, da sempre, dividi gli animi: o risulti simpaticissimo e ti amano, oppure non ti sopportano. Non ci sono vie di mezzo.
E’ vero. Credo che i motivi siano diversi. La mia strada – e non mi lamento – è sempre stata caratterizzata dalla necessità di dimostrare qualcosa. A 16 anni mio fratello Gabriele mi ha scelto come protagonista del suo film, è vero. Ma l’ultima volta che ho lavorato con lui risale a molto, molto tempo fa: ero poco più che maggiorenne. Da allora ha costruito la mia strada, mi sono scritto dei film, li ho diretti, ho lavorato con Carlo Verdone, Giovanni Veronesi. Volevo far vedere che quell’onda di successo me la meritavo. E forse questo ha suscitato anche antipatia.

Ma è invece una cosa che ti rende merito: chissà quanti al posto tuo sarebbero rimasti sotto l’ala protettiva del fratello più grande e già parecchio famoso.
… Ma la gente non si sofferma su determinate considerazioni.

Qualcuno, insomma, non ti perdona il successo così precoce?
Forse, più che altro, crede che non sia il risultato di un merito bensì di un rapporto di fratellanza. Ma non è così. Quando cercava il protagonista di Come te nessuno mai, Gabriele ha fatto 18 provini. Poi ha affidato quel ruolo a me non per il legame di parentela, ma semplicemente perché riteneva fossi la persona giusta. Forse ci sono persone che sono rimaste ancorate a una visione particolare del mio passato e non vedono quello che sto facendo adesso. E poi c’è un altro motivo per cui, come dice tu, divido gli animi.

Cioè?
Vedi, la polemica in generale non piace a nessuno. Io ho dovuto confrontarmi con una polemica che non volevo e che inevitabilmente disturba gli animi. E’ tutto mischiato, subisco una situazione che non ho scelto. E non posso negare che la promozione del mio film sia stata danneggiata anche da questo. Inquinata. Avrei voluto che le cose andassero diversamente. Anche perché alcune dichiarazioni di Gabriele risalgono a poco tempo fa. L’effetto è stato enorme. Una cosa, però, posso dire con certezza: lui non dovrà mai difendersi da qualcosa di simile.

Pensi sia finita, una volta per tutte?
Lo spero. Soprattutto per lui.

Cosa farai adesso? Sparirai per altri 4 anni?
… No (ride, ndr)! Anzi, ti dirò: proprio oggi, che è il primo giorno in cui la febbre mi dà finalmente tregua, ho iniziato a pensare a una cosa nuova. Ci sono in ballo 2/3 idee che potrebbero essere valide per il prossimo film.

Continuerà il sodalizio con Carla Vangelista?
Beh, 2 di queste cose sono sue. E poi devo dire che ci siamo molto divertiti a far ridere. La terza cosa, invece, è collegata a un libro.

Insomma, escludi che qualche regista possa “acchiapparti” per un film?
No che non lo escludo! In questi anni ho detto diversi “no” perché trovo poco stimolante interpretare gli stessi ruoli che mi hanno reso famoso. Mi piace cambiare, sperimentare, è quello che ho cercato di fare finire. Se un regista mi propone qualcosa di nuovo e – perché no? – azzardato, potrebbe riuscire ad “acchiapparmi”…

PS: Silvio Muccino si è tagliato i capelli, per la cronaca. “Adesso sono quello di sempre“, dice rassicurante…

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