Luca Ward: “La mia voce? Fumo e bevo Zacapa”

Iena. Assassino. Truffatore. Ambiguo. Cattivo, insomma. E’ in tale veste, e nelle sue varie declinazioni, che siamo abituati a vedere Luca Ward sul piccolo schermo, e basti pensare alle serie tv Elisa di Rivombrosa, Capri, la più recente Le tre rose di Eva dove impersona il potente e implacabile Ruggero Camerana. E’ per questo che, quando Silvio Muccino l’ha chiamato per affidargli una parte brillante e a tratti comica nel suo nuovo film Le leggi del desiderio (in sala dal 26 febbraio), Ward ha tentennato. Era perplesso e, con estrema schiettezza, ha palesato il suo stato d’animo. Ma Muccino ha insistito e a dargli manforte è intervenuta Carla Vangelista, co-sceneggiatrice della pellicola. Alla fine l’artista romano s’è convinto. E meno male. Perché il suo Paolo Rubens, ambizioso editore dotato di una moglie che coltiva una relazione clandestina con Matilde Silvestri/Nicole Grimaudo, è un personaggio decisamente riuscito. Ironico. Simbolo dell’uomo medio che approfitta del proprio ruolo sociale per farsi pettinare l’ego dai sottoposti e poi rivela debolezze talmente profonde da diventare esilaranti. Possiamo dirlo: Luca Ward, il duro Luca Ward, così non si era mai visto.

Duro e versatile, anche. Perché prima di essere attore, lui è un doppiatore. Uno dei più quotati in Italia, costantemente attivo sulla scena internazionale: basti citare quel “Al mio via scatenate l’inferno!” per inquadrare bene la situazione. Ebbene sì, è Ward a dare la voce a Russell Crowe. Ma anche a Keanu Reeves (nella trilogia di Matrix e in tanti altri titoli fino all’ultimo, John Wick), Hugh Grant, Pierce Brosnan (sono sempre sue le corde vocali utilizzate in quattro episodi della saga di James Bond), Antonio Banderas, Kevin Bacon, Steven Seagal. E’ stato Luca ad aver doppiato Samuel L. Jackson in Pulp Fiction e Brandon Lee ne Il Corvo. E l’elenco potrebbe andare avanti ancora per molta righe. Troppe, anche. Non pago, Ward calca le scene teatrali e tiene masterclass di doppiaggio per chi, pur lavorando in settori diversi dalla recitazione, ha bisogno di usare la propria voce con abilità. Con un curriculum così, e anche considerando il fatto che aveva soltanto 3 anni quando ha messo per la prima volta piede su un set, potrebbe “tirarsela” (per usare il gergo giovanile) parecchio. Invece no. E’ cordiale, simpatico, allegro. Ha la sicurezza del professionista navigato ma non la fa pesare. E si concede pure qualche battuta in romanesco: con quella voce lì, risulterebbe magnetico e suadente anche se leggesse una cartella di Equitalia.

Ne Le leggi del desiderio cambi completamente registro rispetto al solito.
E’ vero. Ed ero poco convinto. Tutto è partito da Carla Vangelista, che conosco da moltmo tempo. Forse in pochi lo sanno, ma lei era doppiatrice e direttore di doppiaggio. Abilissima. Doppiava film impossibili. Mentre scriveva la sceneggiatura del film – questo me l’ha detto dopo – dava forma a Paolo Rubens pensando a me. Poi sono stato chiamato da Silvio, che per certi versi mi vede come una sorta di mito per un motivo semplicissimo: appartiene alla generazione cresciuta con Il Gladiatore, Il Corvo, Matrix. Quindi è come se mi conoscesse da sempre. Mi ha proposto questo personaggio che comincia con delle spigolosità e poi si evolve con un risvolto brillante.

Tu non te la sentivi, però.
Io gli ho subito detto ‘Silvio, secondo me prendi una memorabile mattonata in fronte scegliendo me‘. Ho voluto ugualmente che facessi un provino, io sono andato con scarsa convinzione e i risultati hanno lasciato parecchio a desiderare. Qualche giorno dopo Silvio mi ha telefonato, ammettendo di non essere soddisfatto ma prendendosi tutte le colpe: ‘Ho sbagliato io nel darti le dritte‘. Pensa che tipo, questo ragazzo…

C’è stato un altro provino.
Sì, a cui ha assistito pure Carla. E le cose sono andate molto meglio. Si sono ammazzati dalle risate. Poi l’ha visto il produttore Marco Belardi e anche lui ha dato il benestare.

Non ho capito però una cosa: perché, dinanzi all’occasione di fare un ruolo molto distante dal “cattivo”, sei stato assalito dai dubbi?
Beh vedi, prima di tutto cambiare radicalmente non è facile. E poi questo è un Paese strano, la gente è abituata a vederti in un modo e vuole che le cose non cambino. Funziona in quella direzione, e allora va bene così. Certe volte sembra quasi che, invertendo la rotta, tu vada a rubare uno spazio che non ti appartiene. Cosa non vera, naturalmente.

Insomma hai scoperto la tua vena comica.
A dire il vero l’avevo scoperto già da un po’, cioè quando ho portato sulla scena del Sistina My Fair Lady con Vittoria Belvedere. Il mio professor Higgins era diverso dagli altri e vedevo la gente divertirsi davvero. Una gran bella sensazione e, appunto, una scoperta.

Che tipo di regista è Silvio Muccino?
Nonostante l’età, è vecchio stampo. Un tempo i registi lasciavano fare ai tecnici il loro mestiere, senza intromettersi di continuo, e si dedicavano completamente ai loro attori. Ecco, lui ha fatto questo. E sul set c’era una bella atmosfera, lo dico al di là di ogni retorica. Mi sono sentito protetto. Protetto da questo ragazzo.

Scommetti sui giovani, dunque?
… Ma mille volte! Io sono assolutamente pro-giovani, li adoro! Trovo anche che la commistione giovani-anziani possa funzionare alla grande ed essere preziosissima. Mi piace come funziona negli Stati Uniti, laggiù ci sono dirigenti che hanno anche poco più di vent’anni e lavorano gomito a gomito coi cinquantenni in un rapporto paritario. In Italia questo non succede, è un Paese per vecchi. Sono tutti dei nonni, tutti hanno i capelli grigi. Io lo dico sempre ai miei figli: quando avrò tutti i capelli grigi, fatemi sta’ zitto!

Le leggi del desiderio porta per la prima volta sul grande schermo italiano la figura del life coach, del motivatore.
In America è ormai diffusissima e ultimamente sta prendendo piede anche qua da noi. In ogni caso, si tratta di un fenomeno ormai mondiale. Certo, c’è il rischio che alcuni di loro siano dei ciarlatani, degli incantatori di serpenti. Ma i ciarlatani stanno ovunque. Io considero positiva questa figura, credo possa essere un buon punto di riferimento e aiutare davvero le persone a chiarirsi le idee. Trovare la propria strada e il proprio equilibrio. Offrono un confronto e il confronto è sempre utile.

Tu sei la voce italiana “storica” di Russell Crowe. In Noah, però, il compito di doppiarlo non è stato affidato a te. E i tuoi fan hanno scatenato l’inferno, è proprio il caso di dirlo.
Da una parte non me l’aspettavo, o meglio non mi aspettavo tanto fervore e mi ha fatto anche piacere; dall’altro è stata una reazione abbastanza comprensibile, direi: il pubblico è abituato a identificare Russell Crowe con la mia voce. E il pubblico non dovrebbe mai essere sottovalutato. In quella circostanza sono rimasto sorpreso anche io e devo dire che lì per lì me la sono presa con la società italiana che si occupava del doppiaggio, ma non c’entrava proprio nulla. In realtà nessuno aveva colpe. Si è trattato di un errore relativo a un file audio.

Nel film successivo, The water diviner, che per la prima volta vede Crowe anche dietro la macchina da presa, la sua voce è nuovamente la tua.
E’ stato lui stesso ad accertarsi che fosse così.

L’hai conosciuto di persona?
Certo. L’ho conosciuto nel ’98. Ricordo che mi disse di aver scelto la mia voce perché somiglia alla sua e abbiamo lo stesso modo di parlare.

Tu hai l’abilità di cambiare completamente voce a seconda del personaggio da doppiare: come fai?
Per una cosa simile, innanzi tutto, bisogna essere anche attori e non soltanto doppiatori. Per il resto, metto in pratica gli insegnamenti dei vecchi maestri. Loro ci hanno sempre detto di imparare a fare tutto, di non fossilizzarci mai su quello che già conosciamo ma di spaziare sempre. Non ti innamori solo di quel target che conosci ma sperimenti. E non ne hai mai abbastanza. Se chiedi a un attore e doppiatore di mortificare la propria voce per il personaggio, lo fa senza problemi; se lo chiedi a un doppiatore, qualche problema ce l’ha. E’ questa la differenza, che può sembrare sottile ma non lo è.

La tua è una famiglia di doppiatori: tuo nonno faceva questo mestiere, tuo padre anche. Tua sorella e tua figlia pure.
Sì. Ma fra noi non parliamo mai di lavoro. Mio nonno non voleva per alcun motivo al mondo, era vietatissimo! (ride, ndr)

Fra le tue tante attività, il doppiaggio resta sempre in cima?
Il doppiaggio è una sfida continua, mi piace per questo. E devo dire che mi ha dato tante soddisfazioni. Nel 2000, quando ho doppiato Il Gladiatore, nella fase di lavorazione naturalmente non mi rendevo bene conto di cosa stessi facendo. Poi, camminando per le strade della mia città, ho cominciato a sentirmi chiamare “Massimo!” dalla gente. Allora mi sono chiesto “Ma che ho fatto? Fammi andare a vede’“. Ho visto il film a Sperlonga, nell’arena, era estate. E alla fine sì, ho pensato “Anvedi che ho fatto!!” (ride, ndr)

Come curi la tua voce?
Fumo e bevo Zacapa (uno fra i rum più noti e pregiati del mondo, ndr). Non ci sono altre ricette. Anzi, ti dirò di più: se la voce mi va giù, faccio un gargarismo con Zacapa e il problema si risolve. Ne basta poco. Mai esagerare…

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