Stefano Fresi: “Con quei capelli rasati ho conquistato una debolezza in più”

Stavano ancora girando Smetto quando voglio per la regia di Sydney Sibilia, con la consapevolezza di essere nel bel mezzo di una cosa bella ma ancora ignari del successo che li avrebbe travolti. Dell’effetto che avrebbe fatto. Un giorno, fra un ciak e l’altro, Edoardo Leo ha raccontato a Stefano Fresi il nuovo film che aveva in mente. Gli ha parlato di quel romanzo di Fabio Bartolomei, Giulia 1300 e altri miracoli, da cui stava ricavando una sceneggiatura. Fresi s’è incuriosito, anche perché “abbiamo gli stessi gusti in fatto di libri e cinema“, e ha deciso di leggerlo. Pagina dopo pagina l’interesse è aumentato, una risata ha seguito l’altra, quella storia un po’ stralunata e al contempo capace di rispecchiare una certa realtà l’ha conquistato. Però poi è finita là. O insomma, almeno così lui credeva.

Invece, un altro giorno ancora, Leo l’ha chiamato. Per proporgli la parte di Claudio, quello che riesce a far fallire l’impresa di famiglia con una tradizione secolare alle spalle e pure a farsi lasciare dalla moglie; quello che ha paura di tutto, i cui amici hanno subìto le disgrazie più grandi e allora meglio stare sempre attenti ché i pericoli di vita stanno ovunque. Quello che si ritrova socio di altri due falliti – Diego e Fausto – nell’ambiziosa impresa di ristrutturare un casale nel profondo, trasformarlo in un agriturismo e avviare una fiorente attività senza pagare pizzi e dazi alla camorra. Un’utopia, una resistenza eroica, un sogno da antieroi? La risposta la trovate in sala dal prossimo 19 febbraio, giorno in cui esce Noi e la Giulia, terza fatica da regista di Edoardo Leo che ne è anche interprete (nei panni del coatto Fausto) insieme – appunto – a Fresi, a Luca Argentero (Diego), Claudio Amendola (Sergio), un’Anna Foglietta molto incinta (Elisa) e Carlo Buccirosso (Vito, camorrista un tantino sfigato). Fresi è soddisfatto. Parla di quest’esperienza con gli occhi che gli brillano e scommette sulla qualità del risultato finale.

Come in Smetto quando voglio, anche in questa storia i protagonisti sono dei quarantenni in cerca di un riscatto.
Sì, ma mentre nel film di Sybylia erano tutti menti eccelse, ragazzi laureati col massimo dei voti, quasi geniali eppure relegati ai margini della società per colpa del sistema, qua ci sono in scena dei falliti. Che nemmeno si conoscono fra loro. E che nonostante tutto hanno un’improvvisa impennata di coraggio e decidono di condividere il fatidico “piano B”. Cioè un casale in vendita da comprare e rimettere a nuovo per farne un agriturismo.

All’inizio siete in 3: tu, Leo e Argentero. Successivamente entrano in scena gli altri interpreti.
Esatto. Arriva Amendola, ex sessantottino cresciuto nei centri sociali, col sogno infranto di un’Italia comunista, che ha un passato con Edoardo Leo e decide di entrare in società: impedirglielo sarà impossibile… Poi Anna Foglietta, una donna della pulizie incinta di sette mesi, che sembra strampalata e sciroccata ma invece è la più sensibile di tutti. Un personaggio molto bello, candido, fermamente convinto che saranno le cose belle e le persone belle a salvare il mondo. E poi c’è Carlo Buccirosso, il camorrista mandato dalle “famiglia” a chiedere il pizzo per i “permessi” e la protezione. Dinanzi a tale richiesta, anziché piegare la testa gli altri decidono di reagire. E di avviare una resistenza a oltranza che avrà risvolti imprevedibili.

Che tipo è Claudio Felici, il tuo personaggio?
E’ un perdente. Uno che non riesce a gestire nulla, che deve seguire sempre gli altri e arriva sempre secondo. In cinque anni riesce a far fallire il negozio di gastronomia aperto nel 1910 dal nonno. La moglie lo lascia negli stessi giorni in cui vende l’attività. Perde tutto, insomma.

… Ma riuscirà ad avere un riscatto?
Sì, un piccolo riscatto alla fine l’avrà…

Come ti sei preparato?
Ho letto il libro, poi la sceneggiatura. Quindi ho provato a immaginare la mia vita guardando indietro, mi sono chiesto come mi sarei sentito se le cose non fossero andate come invece sono andate. Come mi sarei sentito se la colpa fosse stata solo mia, se avessi fatto scelte sbagliate su tutti i fronti.

Hai davvero rasato i capelli nel mezzo, lasciando soltanto quelli di lato: ma non si poteva ricorrere al trucco?
Ho preferito farlo davvero per avere una debolezza in più e dunque avvicinarmi ulteriormente a Claudio. Mi sono visto subito diverso, sembrava fosse cambiato anche il mio viso. Per la prima volta ho capito che sensazioni possa provare un uomo che ha davvero questo problema. Io ho il mio pancione, ci convivo da oltre vent’anni e sono il primo a ironizzare. Ma rasarmi in quel modo è significato avere all’improvviso un grande e nuovo difetto.

Diego e Fausto sono molto diversi da lui.
Anche molto diversi fra loro. Diego è un ragazzotto torinese che fa un lavoro che odio e non riesce a reagire, ribellarsi; un uomo che beve il vino dai bicchieri di plastica, e già questo lo dice lunga. Fausto è un coatto romano che fa il fascista, vende orologi fallati, fa il fenomeno ma in realtà è molto solo. Oltre che pieno di debiti fino al collo.

E’ possibile parlare della camorra, della criminalità organizzata, facendo ridere?
Lirio Abbate (cronista da tempo impegnato nella denuncia delle attività mafiose, ndr) ha visto il film e ci ha fatto i complimenti proprio per questo: mettere un po’ in ridicolo queste persone, metterle alla berlina è il modo migliore per ledere la loro immagine. Ci sono film e fiction che invece tendono a mitizzarli: è una questione di scelte.

Questo film esce accompagnato da alte aspettative: riuscirà a soddisfarle?
Credo di sì. Prima di tutto perché è un film sincero. Non solo è un invito a resistere ai soprusi; incarna il desiderio di tanti di avere il coraggio di ribellarsi. Non è ruffiano. E poi abbiamo già avuto una grande fortuna.

Cioè?
La possibilità di girare in sequenza. Raccontare questa storia in ordine cronologico. E’ stato possibile perché è praticamente tutto ambientato nel casale. Facci caso: all’inizio del film siamo tutti carucci, alla fine distrutti… E lo eravamo veramente! Ma felici.

I tuoi prossimi impegni?
Il 19 marzo uscirà La prima volta di mia figlia, esordio alla regia di Riccardo Rossi, che lui stesso ha scritto insieme a Luca Infascelli e Chiara Barzini. E’ anche nel cast insieme a me, Anna Foglietta, Fabrizia Sacchi, Benedetta Gargari. Successivamente uscirà Solo per il weekend, in cui recito, fra gli altri, con Alessandro Roja, Francesca Inaudi, Matilde Gioli, Malik Barnhardt.

Possiamo dire che Smetto quando voglio ha rappresentato una svolta nella tua carriera d’attore?
Certo. E’ stato il mio primo ruolo “grande”, è arrivata la nomination ai David di Donatello. Le cose sono cambiate, vero. Nel 2014 ha girato cinque film.

L’attore è uno fra i mestieri più precari in assoluto: hai mai vissuto momenti di sconforto, hai avuto paura di non farcela?
Ci sono stati momenti critici, sì. Ma sinceramente non me ne sono mai preoccupato molto. Io sono e resto prima di tutto un musicista e un compositore. E’ ancora la mia attività principale.

Ecco, forse non tutti lo sanno. E allora bisogna dirlo. Stefano Fresi si è diplomato al Conservatorio, è stato titolare di cattedra di Teoria, Armonia, Arrangiamento e Orchestrazione sinfonica. Ha tenuto seminari e collaborato con diverse scuole. Si esibisce sulle scene teatrali – ma anche in tv – col trio Favete Linguis dal 1994. Ha composto e compone single e jingles per spot in onda sulle reti nazionali (Rai compresa) e satellitari. Sua è la sigla della serie Romanzo criminale. Ha collaborato, fra gli altri, con Giuseppe Tornatore, Gigi Proietti, Davide Luchetti. Dal 19 febbraio lo vedrete nei panni di un fallito…

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