Matteo Branciamore: “E adesso vi mostro il mio lato irriverente…”

Metti tre attori fra i 30 e i 35 anni, ovvero Matteo Branciamore, Nicolas Vaporidis e Francesco Arca. Metti che questi tre attori siano mossi da una sana voglia di rischiare e convinti che le cose possano cambiare in meglio, a patto di armarsi di coraggio e faccia tosta. Metti che decidano, nel mezzo dell’estate, di fondare la casa di produzione Drive Production Company e cominciare l’attività con un format assai conosciuto negli States ma ancora immacolato nel Bel Paese. Metti che uno di loro, cioè Matteo, sia il prescelto per piazzarsi davanti alla telecamera. Sfoderi il suo lato più irriverente e si cimenti con sei interviste – altrettanto irriverenti, of course – a 5 personaggi del mondo del cinema e dello spettacolo: Giorgio Panariello, Paolo Ruffini, Fausto Brizzi, Euridice Axen e Francesco Montanari. La sesta intervista? A Vaporidis. Così il cerchio si chiude.

Ebbene, il format dei tre audaci giovanotti – al limite del politically correct, questo bisogna sottolinearlo anche perché loro ci tengono ed è pure giusto che sia così – l’ha acquistato subito Yahoo e la prima puntata, che ha visto sotto torchio Ruffini, ha superato le 40mila visualizzazioni in un giorno. Niente male, davvero niente male. E Branciamore, l’intervistatore che nasconde un animo da provocatore dietro gli occhialini da vista e la postura irreprensibile, si sfrega le mani per la soddisfazione.

Sprizzi orgoglio da ogni poro, Matteo.
Beh, abbiamo fondato una casa di produzione tre mesi fa, abbiano realizzato un format riuscendo a coinvolgere personaggio come Panariello e Brizzi, che non sono esattamente i primi arrivati e che si divertono con noi; questo format è stato comprato da Yahoo e nel debutto abbiamo totalizzato oltre 40mila visualizzazioni… E allora sì, sono orgoglioso di tutto ciò. E’ una vittoria incredibile!

Avete osato.
Sai che c’è? Che è vero, viviamo in un’epoca di crisi e la crisi riguarda tutti i settori. D’altra parte, però, vedo tanta gente lamentarsi senza fare assolutamente nulla per migliorare la situazione. Quanti si sbattono veramente? Noi giovani siamo vittime per certi versi, ma al contempo abbiamo delle responsabilità. E negarle serve a poco. Dobbiamo fare. O provare a fare, almeno…

Com’è nata l’idea di Piove?
E’ nata per dar sfogo a situazioni che vivevano in noi. Siamo fortunati, facciamo il lavoro più bello del mondo, ma avevamo voglia di divertirci insieme con qualcosa che fosse un po’ particolare. In America il format è famoso, in Italia no. Da qui, la decisione di provarci.

Perché questo titolo?
Beh, prima di tutto perché ci piace la parola, il fatto che in qualche modo veicoli l’idea di… sfiga. E poi è un modo per prendere amichevolmente in giro Fazio e il suo Che tempo che fa. Che tempo che fa?? Piove! (ride, ndr).

Avete coinvolto personaggi che appartengono al vostro stesso mondo, quello del cinema e della tv.
Sì, è più facile coinvolgere i colleghi quando proponi qualcosa di ironico, positivo, divertimento. Io credo che, dinanzi a qualsiasi proposta, la domanda da farsi non dovrebbe essere “Quanto mi danno?” ma “Cosa facciamo?“.

Siete in tre. Perché proprio tu fai le interviste?
… Forse perché gli altri due non sono in grado (ride, ndr)? No, dai, a parte gli scherzi. Probabilmente perché non me ne frega niente di ciò che si possa pensare di me. E lo dico davvero. Io amo sperimentare, essere sul campo. Alla fine, interpreto comunque un personaggio. Recito.

A proposito di personaggio: credi di essere riuscito a scrollarti di dosso quello di Marco dei Cesaroni?
Quando interpreti in tv un personaggio di successo, ovviamente ti ritrovi addosso una sorta di etichetta. E’ capitato a me come capita a tanti altri. Ma onestamente non credo sia un problema mio. Non ho l’ansia di dimostrare che so fare anche qualcosa di diverso, non sento l’esigenza – per esempio – di interpretare uno psicopatico per far vedere le mie capacità recitative. Se questo mestiere fosse più rispettato, sarebbe più facile capire che si recita, appunto. E che l’attore e il personaggio sono due cose ben distinte e separate. Comunque dipende anche dall’attore liberarsi dall’etichetta. Dalle scelte che fa nel corso della sua carriera.

Sei attore, canti, adesso fai interviste al vetriolo per un format, hai condotto anche un programma televisivo: quale, fra queste vesti, ti piace di più?
Il fatto è un altro. Dal mio punto di vista, non sono cose diverse. Dal mio punto di vista, io faccio sempre la stessa cosa. Che è quella che mi viene meglio: recito. Quando ho condotto quel programma, ovviamente non sapevo nulla del mestiere del conduttore. E allora ho impersonato il ruolo del conduttore. Quando ho cantato per I Cesaroni, l’ho fatto… Per I Cesaroni, appunto. Perché ritengo che un attore debba essere versatile. Ma da qui a pensare che io abbia voluto o voglia diventare cantante ce ne corre. Invece molti l’hanno pensato. Ma io non divido le cose. Io sto solo recitando…

Reciti anche in Tre tocchi, il nuovo film di Marco Risi in concorso al Festival internazionale del film di Roma.
Sì, è una partecipazione. Interpreto me stesso. Mi ha fatto molto piacere, con Marco ho un rapporto talmente bello che mi risulta impensabile dirgli di no.

L’appuntamento con Piove è settimanale, fissato per il martedì, e andrà avanti per circa un mese e mezzo. Sai già cosa farai dopo?
No ancora. O meglio: qualcosa nell’aria c’è, ma preferisco non parlare fino a quando non ci sono le certezze. Sono un po’ scaramantico, in questo senso.

Hai iniziato con I Cesaroni a 24 anni, oggi ne hai 33. Il bilancio di questo primo decennio?
Non mi posso lamentare. Sono stato fortunato, perché una componente di fortuna c’è sempre. Ma mi prendo anche qualche merito. Io comunque ci ho creduto. Sempre.

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