Giordano De Plano: “I giorni in carcere, una prova superata insieme alle facce giuste”

Giravamo nel braccio di semilibertà: i detenuti uscivano verso le 6 del mattino ed entravamo noi. Le riprese sono durate due settimane, tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Non potevamo portare i telefonini ed è giusto così, perché i telefonini succhiano energia e ti riconducono alla vita reale, cosa che invece non deve succedere mentre si lavora. Odio chi si porta il cellulare sul set“. Giordano De Plano s’infervora quando parla dell’esperienza vissuta fra il cemento e le sbarre del carcere di Rebibbia. Esperienza necessaria per la sesta stagione di Squadra antimafia: il “suo” Sandro Pietrangeli viene mandato in galera come infiltrato, deve entrare nelle grazie del boss Don Carmine Spinone e così rubare informazioni sull’attività criminale che riesce a condurre anche da là. Là, dove “c’è questo senso di estraneazione e di claustrofobia che inevitabilmente finisci per assorbire, se non sei fatto di marmo“. E’ stata un prova importante per lui, Giordano, ma anche per l’ispettore Pietra. “Da sempre, insieme agli sceneggiatori, l’obiettivo è quello di creare per questo personaggio una sorta di linea parallela e indipendente rispetto alla storia principale. Anche stavolta è stato così, anzi mi sono sentito particolarmente coinvolto perché non si era mai visto in Squadra antimafia un poliziotto costretto a fingersi qualcun altro all’interno di un carcere; e perché sotto molti punti di vista è la chiusura di un cerchio: Sandro torna da dove era partito, torna a essere un infiltrato“.

E’ uguale a se stesso, questo poliziotto irrequieto, ma al contempo cambia. E lo stesso vale per il suo interprete. Perché Giordano è attualmente impegnato nella realizzazione della settima stagione di Sam e rivedere la sesta, a distanza di un anno dalle riprese, gli sta facendo un effetto finora sconosciuto. “Di solito vedo ciò che ho fatto con un certo distacco, nel senso che giudico i miei stessi risultati, cerco di individuare cosa abbia funzionato e cosa no. Invece, dinanzi a questa sesta stagione, per la prima volta mi sento uno spettatore al cento per cento“. Sarà perché ha fatto un lavoro particolarmente intenso, sarà perché ha messo il suo personaggio in una situazione definitiva, sintesi di tutto ciò che gli è successo finora, fatto sta che la sua percezione è cambiata. Insieme a quella dei telespettatori: “Quando mi fermano, scopro in loro un interesse diverso nei confronti di Pietra. E ne sono felice“.

Per la prima volta, dunque, ti vedi con gli occhi di uno spettatore: il giudizio è positivo o negativo?
Credo che abbia funzionato tutto e mi riferisco soprattutto alle riprese in carcere. Il luogo era giusto, le facce intorno a me erano giuste, la regia mi ha lasciato libero di sperimentare. Pietra vive di vita propria e io faccio il tifo per lui, anche perché contiene in sé non uno, ma tre personaggi: Pietrangeli, Pietrangeli che fa finta di un essere un poliziotto, Pietrangeli che veste i panni del detenuto Milo Casaroli. Ma voglio dichiarare una cosa ufficialmente…

Certo, fai pure.
Sono contento del gruppo di attori che ho avuto intorno a me: Antonio Pennarella, che interpreta Pastrone, Adriano Chiaramida che invece è Don Carmine Spinone. E Miro Landoni alias Gigi, il compagno di cella che si finge muto. Tre attori meravigliosi. E poi voglio dire un’altra cosa. Quando entravamo nel piazzale di Rebibba per girare le esterne, molti detenuti si affacciavano e gridavano il nome di Pietra… Ecco, mi ha fatto immensamente piacere. Perché Pietra è uno del popolo e tale deve rimanere.

Squadra antimafia continua a fare ottimi ascolti, certo. Ma al di là di questo, cosa pensi delle fiction che durano anni e anni?
Beh, ti posso dire che io preferisco alzarmi da tavola con un po’ di appetito piuttosto che con la nausea causata dal fatto di aver mangiato troppo. Ti posso dire che, come attore, mi auguro che prima o poi ci sia una fine. Come Pietrangeli, invece, preferisco non rispondere.

Ma possibile che Pietrangeli non riesce a conciliarsi con l’universo femminile?
Eh, che ti devo dire (sorride, ndr)… Più che altro non riesce a conciliare la vita professionale con quella privata. Però stavolta lui ha davvero agito per amore nei confronti di Anna (Ivana Lotito, ndr). Tengo molto a quell’unica scena in cui sono insieme, in auto. Quando lui risponde con veemenza “non te lo posso dire dove vado!“, in realtà cerca di salvaguardarla. Anche a costo di farla uscire dalla sua vita. E quel “non ti amo più” non corrisponde alla verità…

Pietra si è trovato a dover scegliere fra l’amore e il lavoro: se capitasse a te…?
Mi auguro che non mi capiti mai, sinceramente. Anche perché io e lui siamo accomunati dalla stessa passione e irruenza. Non sarebbe giusto rinunciare al lavoro per una donna e molto probabilmente farei la sua stessa scelta.

Cosa accadrà, invece, fra Sandro e Lara Colombo?
Mi limito a rispondere che lui è molto vulnerabile a causa dell’esperienza che sta facendo.

Prova a fare un bilancio: credi che ci sia stata un’evoluzione nel tuo percorso di attore?
Sì, penso di sì. Sono più consapevole del mezzo meccanico e del mio mezzo espressivo anche grazie allo spettacolo teatrale che ho fatto qualche tempo fa e a qualche parentesi riguardante il cinema. Riesco a gestirmi meglio sul set e indagare con maggiore sicurezza nelle anime dei personaggi. Anche quando si nascondono. Pietra, per esempio, vive nei silenzi e non nelle battute. Ma certi silenzi urlano, non sono pause bensì momenti dinamici.

Ti piacerebbe metterti alla prova con la regia?
Sì, la regia mi affascina e infatti, se posso, do qualche suggerimento. Un giorno, non so bene quando, ci proverò. Magari guardando alle nuove frontiere del web.

Cosa pensi della fiction italiana?
Penso che si potrebbe fare molto di più, che c’è la possibilità di fare ottima televisione e anche senza cifre esorbitanti: ci vorrebbe una maggiore e autentica voglia di mettersi in gioco. Penso che bisognerebbe capire che recitare per la televisione non è facile, non è un modo per arrivare prima al successo, non è una cosa da prendere sotto gamba. La tv “te se magna”, come si dice a Roma. Devi stare sul set per mesi interi e riuscire a creare qualcosa di tuo, altrimenti se soltanto un attore passante che usa una recitazione di circostanza. Bisogna farsi il culo. E tenere presente pure che il pubblico non è stupido, anzi.

Prossimi impegni?
Ho lavorato nel film di Giancarlo Cappai, un’opera prima, insieme a Michele Riondino e Vitaliano Trevisan. Il mio personaggio vive in un antefatto risalente a vent’anni prima, lavora in una fornace, sta sempre in mezzo al fuoco. E’ sporco. Entra in contatto con un bambino, che sarebbe Riondino a dieci anni. E’ una sorta di pedofilo. Anche questa è stata un’esperienza forte. Faccio inoltre parte del cast de L’Inferno, la nuova commedia di Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio a cui auguro tutto il bene e che per fortuna continuano a chiamarsi. Credo che questo film abbia tutte le carte in regola per diventare un piccolo caso. E poi aspetto ancora che qualcuno produca lo spettacolo Rosencrantz e Guildenstern sono morti, che vorrei portare in scena con il mio amico Francesco Montanari…

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