Edoardo Purgatori: “Continuerò a sporcarmi le mani”

Emergerà il lato più oscuro di Emiliano. Certo, continuerà ad avere una grande importanza la sua storia d’amore con Anna; più in là, però, si farà luce sul suo vero passato. E verranno fuori giri un po’ loschi, vicende di droga, una serie di elementi che nessuno avrebbe mai immaginato… Ma non posso aggiungere altro!“. Edoardo Purgatori conosce il valore del dire e non dire. Anticipa qualcosa sulla nuova stagione della serie Un medico in famiglia, che ha preso il via lo scorso 16 marzo e che lo vede nuovamente fra i protagonisti, in coppia con la “storica” Eleonora Cadeddu; allo stesso tempo si schermisce, lascia che un pizzico di mistero aleggi nell’aria e che la curiosità arrivi alle stelle.

Un tipo particolare, Edoardo. Cresciuto a pane e copioni (sua madre è attrice e storica dell’arte, suo padre sceneggiatore e giornalista), di bell’aspetto ma evidentemente più interessato alla sostanza che all’apparenza, con i suoi anni che all’anagrafe sono 25 ma quando parla sembrano di più. Giovane uomo dalla voce profonda e le idee chiare, avanza lungo la strada della recitazione senza scalpitare eppure sentendosi sicuro delle proprie capacità ed evitando di guardare troppo a lungo l’erba del vicino… Perché potrebbe essere più verde, a volte, e non necessariamente per una questione di meriti.

Entrando nel cast di Un medico in famiglia sei diventato l’idolo delle giovanissime: una cosa che potrebbe gratificare ma anche no, dal momento che le giovanissime sembrano più interessate all’aspetto fisico.
Mah, guarda, a me fa piacere. Fa piacere a tutti avere un simile seguito, ricevere tutti questi apprezzamenti: inutile negarlo. E poi ci sono dei “precedenti illustri”, tanti attori oggi molto quotati hanno cominciato grazie alla fama di bellocci. E faccio il nome di Johnny Depp su tutti. Per il resto, sta all’attore dimostrare di avere anche capacità concrete. Ovvio che non voglio essere conosciuto solo per Un medico in famiglia ma per tutto ciò che ho fatto, che faccio e che farò.

E anche su altri fronti le soddisfazioni non stanno mancando.
No, per fortuna no. Continuo a lavorare in teatro, ho recitato nel film tv Amore oggi andato in onda su Sky con esiti più che soddisfacenti, sono stato ingaggiato per un piccolo ruolo ne La mossa del pinguino… E poi posso dire una cosa?

Certamente.
La ragazzine sono più sveglie di quanto si possa immaginare. Lo vedo dalle risposte che mi danno su Facebook, per esempio. Da ciò che mi scrivono. Dal fatto che alcune mi hanno preso come esempio per tentare la carriera di attrici. L’adolescenza è un’età in cui si è molto influenzabili, e mi piace l’idea che io stia piantando dei semini utili…

Anche tu sei stato influenzato, in un certo senso, dall’aria che si è sempre respirata a casa tua.
Beh, quand’ero piccolo il fine settimana mia madre mi portava al Palazzo delle Esposizioni perché lì organizzavano laboratori di pittura e scultura per bambini. Non andavamo al parco, insomma, e non giocavo quasi mai a calcio (sorride, ndr). Mio padre, invece, mi portava al cinema.

Col calcio com’è finita?
E’ finita che mi hanno sempre messo in porta (ride, ndr)! Ma ero attratto da sport “alternativi”, come il football americano… O il pugilato, che praticavo già a 13 anni.

Tu hai frequentato una scuola tedesca a Roma.
Sì, dall’asilo alla Maturità. Si trova un po’ fuori Roma, immersa nel verde, è una struttura pazzesca. Facevamo cose che non ho mai sentito raccontare dagli amici che frequentavano le scuole italiane: per esempio ci portavano a villa Pamphilj, nascondevano le uova e noi dovevamo trovarle: era bello. Ma allo stesso tempo un po’ opprimente, perché si vedevano sempre le stesse persone. Anno dopo anno. Un mondo a parte, per certi versi lontano dalla realtà.

E dopo la maturità, quindi, l’uscita da quel mondo è coincisa con un impatto pesante?
No, perché io ho sempre cercato di fare altre esperienze. Ho viaggiato tanto. Sono anche andato da solo in Portogallo, poi a Londra.

E a Londra sei rimasto parecchio.
Due anni e mezzo. Di cui sei mesi trascorsi alla Oxford School of Drama. Intanto guadagnavo qualcosa facendo il cameriere e altri lavoretti.

Poi la decisione di tornare in Italia.
Sì, sono tornato a Roma e ho vissuto un periodo, sia pur breve di stallo. Sai com’è, tornavo dall’Inghilterra e un po’ me la sentivo. Storcevo il naso dinanzi a certe opportunità di lavoro. Ma per fortuna ho capito presto che era un ragionamento idiota. Quindi ho cambiato atteggiamento e sono arrivati i primi ruoli per la tv: Donna Detective, Un caso di coscienza, Anita Garibaldi. Nel frattempo continuavo a studiare e continuo ancora.

Insomma sei un secchione.
Beh, per forza. Per farcela bisogna studiare e faticare. Prendi Roberto Bolle: è arrivato a quei livelli perché si allena tutti i giorni per otto ore al giorno.

Non tutti pensano che la fatica sia l’unica strada per farcela…
Sì, lo so. Ma io non credo molto nelle scorciatoie. E poi voglio fare una maratona, non mi interessano gli sprint. Non mi interessano i 100 metri, ma i chilometri e chilometri. Io voglio fare questo mestiere per tutta la vita, quindi in questo senso non sento di appartenere alla generazione del “tutto e subito”.

Hai fatto anche tanto teatro.
E continuo pure con quello. E studio da anni con lo stesso insegnante. I primi spettacoli li ho fatti insieme alla Compagnia Spiriti allegri, fondata da Maurizio Pepe e altre persone. Collaboro ancora con loro.

Capita, a volte, di restare in qualche modo imprigionati nel personaggio di successo che si interpreta per una fiction: non hai paura che succeda pure a te?
Questa è una cosa che accade soltanto in Italia, frutto di un modo un po’ vecchio di ragionare. Comunque no, non ho paura perché anche in questo caso credo che stia all’attore riuscire a non essere “ingabbiato”. Da una parte è senza dubbio una fortuna interpretare un personaggio di successo, serve per essere riconosciuti; poi, però, bisogna dimostrare il proprio valore. Imparando anche a dire qualche “no”.

Stai muovendo i primi passi nel cinema.
Sì, al momento si tratta di piccoli ruoli. Non c’è molto spazio per gli attori della mia età e d’altra parte – diciamolo – lavorano più o meno sempre gli stessi. Più volte mi è capitato, dopo provini, di essere lì lì per ottenere un ruolo… E poi vederlo affidato a qualcun altro. Prima me la prendevo, adesso no. Sono sicuro che il mio momento arriverà. E resto convinto del fatto che uno deve sudarselo, il traguardo.

Quindi non ti senti mai sfiduciato.
No. Certo, è vero che quando un regista si “innamora” di un attore e nasce un sodalizio… Beh, in quel caso ci si trova fra le mani una grande occasione di crescita. E’ come vincere alla lotteria. Però non voglio vivere in quella prospettiva, nell’attesa. Io mi sporco le mani e le occasioni me le cerco da solo. Ci sono due tipi di attori: quelli che stanno a casa ad aspettare la famosa telefonata e quelli che fanno uno spettacolo anche davanti a 10 persone. A me è già capitato…

LaPresse/Gian Mattia D’Alberto

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