La Disney produce film in 3D senza avvisare i registi?

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La domanda nasce dalla notizia, riportata dagli amici di badtaste.it: il prossimo film sci-fi “1952”, diretto da Brad Bird (Ratatouille), scritto da Damon Lindelof (Lost) e con la star George Clooney nel cast, è stato annunciato ufficialmente dal marketing Disney per la stagione invernale 2014. Annuncio con tutti i crismi, data settata al 19 dicembre e con tanto di specifica che sarà in formato 3D.

Orbene, che succede quando la notizia arriva alle orecchie dello staff tecnico? Succede che nè Bird nè Lindelof ne sapevano assolutamente nulla, e infatti immediatamente ci sono state reazioni tra il serio e il faceto su Twitter! Bird confermava di non sapere nulla del fatto che la pellicola fosse in 3D, mentre Lindelof la buttava sul ridere negando il 3D ma promettendo “smell-o-rama“, il “cinema odoroso” degli anni ’60.

Boutade a parte, ci sembra che il mercato stia prendendo una china strana, ovvero che ormai il 3D si decida a tavolino e col bilancino delle previsioni di incasso sulla mano. La stragrande maggioranza dei film vengono attualmente girati in 2D. Quando da un film si vuole mungere più denaro possibile, allora si decide di riconvertirlo in 3D per garantire automaticamente un incremento dei profitti. E sulle riconversioni da 2D a 3D potremmo parlarne a lungo. Anzitutto, già di per sè la tecnologia 3D può essere fastidiosa e causa di malessere per molti spettatori (nausea e giramenti di testa sono tra i sintomi più comuni di chi non tollera le immagini stereoscopiche). Inoltre, i processi di riconversione sono comunque delle alterazioni del filmato originale: per quanto possano essere fatti a regola d’arte, è impossibile recuperare l’esatta profondità di campo o la messa a fuoco tridimensionale dell’immagine. Spesso quindi si ricorre a due o tre livelli di profondità che scorrono in parallasse: fondale, soggetto a fuoco ed eventuali oggetti “fuori dallo schermo”. In questi casi la sensazione per lo spettatore è più quella di vedere delle sagome sospese sullo schermo che immagini tridimensionali. Spesso per accentuare la sensazione di tridimensionalità si finisce per creare una profondità posticcia tra fondali e azione dei soggetti talmente elevata da rendere anche peggiori i malesseri da 3D per gli spettatori sensibili.

Le motivazioni del 3D quindi si rivelano spesso essere più economiche che artistiche, e agli spettatori da tutto ciò resta solo un gran mal di testa e 3€ in meno nel portafogli. Uno dei maggiori incassi delle scorse stagioni, “Alice in Wonderland” di Tim Burton, era appunto un film bidimensionale riconvertito in 3D. Disney, affidandosi man mano a partner tecnici diversi per pellicole diverse, non è nota per la qualità visiva delle sue conversioni, da molti non gradite.

Potrà cambiare questa tendenza? Forse, col tempo, con l’avanzare tecnologico che renderà l’hardware 3D più pratico ed economico, la qualità del 3D cinematografico migliorerà. Non pensiamo invece che possano esserci miglioramenti nelle strategie commerciali, d’altra parte il 3D paga: anche solo guardano i due blockbusters del 2012, “The Avengers” (Disney) girato in 2D e riconvertito il 3D ha incassato più de “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno” (Warner) presentato in 2D per precisa scelta artistica del regista. Eppure il film Warner ha raccolto più presenze in sala in assoluto.

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